IL TRASESSUALISMO IN CARCERE: UNA CONDIZIONE ESTREMAMENTE DOLOROSA

“Se fuori dal carcere queste persone vivono una condizione difficile, la loro vita all’interno di un penitenziario diventa pressochè impossibile: diventa una lotta per la sopravvivenza.”

La condizione transessuale in carcere è un fenomeno ancor più doloroso.

Bisogna tener presente che queste persone anche quando sono in abiti maschili, in prigione, così come altrove, conservano un aspetto esteriore particolare, che le contraddistingue agli occhi di tutti, suscitando talora desiderio talora repulsione, ma in ogni caso producendo una reazione emotiva.

Quindi è facilmente comprensibile quanto la collocazione di queste persone sia una questione piuttosto delicata, che a tutt’oggi non si riesce ancora a risolvere, nonostante ultimamente si stia realizzando un carcere per sole persone trans ad Empoli, ma questa potrebbe non essere effettivamente la soluzione più adeguata, quanto piuttosto un ulteriore modo per ghettizzarle, anziché integrarle nella società comune.

Dagli studi da me condotti è emerso che ognuna di loro ha avuto un trascorso di prostituzione, che sembra quasi purtroppo un percorso obbligato dalla condizione di estrema emarginazione che queste persone sono costrette ad affrontare ogni giorno, per cui incontrano enormi difficoltà a trovare una casa, un lavoro, perciò anche se pare brutto dirlo, la prostituzione sembra un mezzo, seppure estremo di sopravvivenza.

Un’altra questione è che molte di loro sono straniere, soprattutto di origine sudamericana, e quindi, oltre ad essere emarginate perché transessuali, rischiano di esserlo anche da un punto di vista razziale; a tal proposito non dimentichiamoci che oggi è previsto il reato di clandestinità, perciò è intuitivo quanto facilmente queste persone possano ritrovarsi nel contesto carcerario..

Per lo più le transessuali entrano in carcere per reati di piccola entità, soprattutto, legati allo spaccio di stupefacenti, a cui poi spesso è connessa la questione della prostituzione, ma molto meno frequenti sono i reati contro la persona, o comunque reati gravi e violenti.

Piuttosto sono persone che subiscono abusi praticamente tutti i giorni ed il carcere non certo fa eccezione: non sono forse tanti gli abusi fisici, quanto piuttosto quelli psicologici, a cominciare dal fatto di essere chiamate col nome maschile, perché il carcere non riconosce nel modo più assoluto la condizione transessuale.

Altri problemi che sorgono in carcere per queste persone sono legati alla somministrazione delle terapie ormonali, che nella maggioranza dei casi non proseguono a meno che queste persone non lottino tenacemente per raggiungere il loro obiettivo; l’unica realtà a quanto mi risulti, dove viene seguito il percorso di terapie ormonali, è quella di Belluno, per il momento.

L’altra questione è legata all’assistenza psicologica, che non viene quasi mai fornita, e attenzione che con assistenza psicologica io mi riferisco a quella rivolta al problema specifico del transessualismo a prescindere dalla condizione carceraria e che invece a mio avviso sarebbe necessaria, anzi praticamente indispensabile in ogni fase della loro esistenza in cui sono costrette ad affrontare pregiudizi, intolleranza, emarginazione, abusi e via dicendo.

Per queste persone la pena in carcere è la loro diversità, una diversità a cui il carcere non è preparato.

Articolo a cura della Dott.ssa Vittoria DE CICCO
www.psicologiainaiuto.it

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